domenica 6 gennaio 2013

Convegni

62° Convegno Nazionale di Studio - I valori giuridici non negoziabili
Roma 7 - 9 dicembre 2012

Valori giuridici non negoziabili nel diritto civile

Proprio perché il diritto civile è, da sempre, il diritto dei soggetti e degli oggetti, non può certo stupire che un gran numero di beni non negoziabili lo caratterizzi: appunto tutti quei beni che hanno a che vedere con la personalità dei soggetti dell’ordinamento giuridico. Il professor Giovanni Giacobbe, magistrato per quasi 25 anni e da tempo ordinario di diritto civile presso la LUMSA di Roma, ha voluto sottolineare con forza questo fattore pregnante del discorso civilistico, donde discende la centralità del diritto privato anche in seno al discorso sui “valori giuridici non negoziabili” a cui è stato dedicato quest’anno il Convegno Nazionale dei Giuristi Cattolici Italiani, svoltosi a Roma dal 7 al 9 dicembre.
La domanda da cui il relatore ha preso le mosse non è altro che la declinazione civilistica del problema teoretico che ha fatto da sfondo all’intero convegno: esistono interessi espressivi di un’esigenza non negoziabile degli individui? E se sì, quali sono, affinché il diritto civile li protegga con l’attribuzione di posizioni giuridiche soggettive indisponibili? La risposta affermativa alla prima domanda è già implicita nella premessa di presentazione del diritto privato come ambito di tutela della persona: in un sistema, come il nostro, che a partire dalla Costituzione in modo del tutto esplicito pone il principio personalistico al centro, il soggetto di diritto così come lo riconosce e protegge il diritto civile ha senza dubbio una posizione privilegiata e fontale. Anche il diritto giurisprudenziale conferma questa lettura, ed anzi la rafforza nell’evoluzione dei decenni repubblicani: in particolare, come è stato osservato sul piano tecnico, mediante la sempre più convinta affermazione di un vincolo per il medesimo legislatore, che deriverebbe appunto dalla sussistenza di tali diritti indisponibili (cosicché la loro caratteristica attitudine a sfuggire alla manipolazione dei privati si imporrebbe anche sul piano pubblicistico, generando l’incostituzionalità di leggi che in qualche misura li conculcassero o anche solo ne rendessero meno agevole l’esercizio).
Con un passaggio specialmente stimolante e provocatorio, Giacobbe ha anche messo in discussione il legame, molto richiamato dai relativisti, tra negoziabilità e democrazia, dal quale a rigore occorrerebbe far discendere la refrattarietà dei regimi democratici all’ammissione di diritti indisponibili: è al contrario proprio l’esistenza di tali beni, non suscettibili di manipolazione da parte di nessuno, che la democrazia si mostra come un sistema idoneo a garantire l’uguaglianza e lo sviluppo della personalità individuale e della partecipazione allo sviluppo comune. Giacobbe a questo punto ha passato in rassegna, premettendone la non esaustività, alcuni di questi diritti: come quello difeso dal divieto di atti dispositivi del proprio corpo (art. 5 codice civile), il diritto al nome (artt. 6 e ss. del medesimo codice), i diritti alla vita ed alla salute, strettamente connessi e di evidente radicamento (implicito o esplicito) nel testo costituzionale, il diritto di famiglia nonché il diritto proprietario, quello d’iniziativa economica e altri cosiddetti “diritti della personalità”. Merita una sottolineatura specifica quanto ricordato da Giacobbe circa la natura indisponibile sia della vita umana “dal suo inizio” (secondo l’ambigua formula dell’art. 1 della legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza, legge definita dal relatore “in netto contrasto con il diritto soggettivo indisponibile e non negoziabile alla vita”), fino alla sua morte (e qui non sono mancati riferimenti critici ai casi più o meno recenti in cui la giurisprudenza ha creduto di potersi affrancare dal riferimento alla legge vigente, che invero dovrebbe legittimarne l’attitudine ad elaborare il diritto vivente). Infine la famiglia, che in quanto tale è stata presentata come costituzionalmente vincolata al modello monogamico eterosessuale, in fedeltà al dettato costituzionale degli artt. 29 e ss.: introducendo un’apposita sezione dedicata alla famiglia, i nostri Costituenti avrebbero infatti chiaramente indicato d’intenderla in modo autonomo rispetto alle altre “formazioni sociali in cui si svolge la personalità” dell’uomo, di cui genericamente all’art. 2. Risulterebbe quindi incostituzionale anche una legge (non diciamo delibere di assemblee di rango inferiore al Parlamento nazionale, come per esempio i Consigli comunali) che introducesse l’equiparazione di formazioni sociali di tipo diverso alla famiglia così intesa.

Valori giuridici non negoziabili nel diritto costituzionale

Anche in virtù dell’insistenza dei richiami alla Costituzione effettuati dal professor Giacobbe dal suo osservatorio sul diritto civile, la relazione della professoressa Lorenza Violini, dell’Università degli Studi di Milano, è risultata di grande importanza per l’inquadramento del tema e dei problemi che esso solleva. La relatrice ha voluto premettere un quadro generale, di tipo culturale, in cui prevalgono le tinte fosche: i valori giuridici non negoziabili sono stati definiti “sotto assedio”, sia perché secondo alcuni – come aveva notato anche Giacobbe – la loro accettazione implicherebbe nientemeno che un vulnus al principio democratico, sia perché lo sposalizio tra una certa concezione del principio di laicità e le prospettive relativistiche in ambito normativo (etico, giuridico e politico) spinge la maggioranza degli studiosi di diritto pubblico a ritenere preferibile il preliminare rigetto di qualsivoglia presupposto “assoluto”. Con riferimento alle riflessioni di Michael Sandel, negli Stati Uniti, e Robert Spaemann, in Europa, la Violini ha voluto ricordare in cambio che la non negoziabilità dei valori o dei beni di cui si parla affonda le proprie radici in un’idea di umanità e natura umana che non sembra nemmeno giuridicamente rinunciabile: e che si impone non tanto alla o per via di volontà, bensì sul piano conoscitivo e razionale. È la comprensione del reale, ed in particolare della realtà umana, che richiede come chiave di lettura indispensabile un qualche riferimento all’humanum, e di conseguenza quello della natura umana non è un postulato volontaristicamente assunto, ma se mai “un grande tema di ragione”, e, verrebbe da aggiungere integrando questo discorso con quello inaugurale di D’Agostino, di esperienza.
Il diritto costituzionale, come ha spiegato Violini, nasce allora proprio “per mettere alcuni temi al riparo dalla disponibilità della politica”: così come la Corte Costituzionale – che è l’organo introdotto nel Novecento praticamente in tutti i sistemi liberali, proprio a questo preciso scopo – ha l’alta missione di preservare i valori dall’attacco, sempre possibile e in quel secolo tristemente verificato da tutti, delle istituzioni della politica, quando esse si corrompono. Per questo la Corte è composta “da sapienti, e non da potenti”. Sul versante sostanziale, la rigidità della Costituzione (pur paradossalmente “flessibile”, come ha ricordato nell’ultima relazione il professor Dalla Torre), ha il senso di garantire il massimo grado di resistenza delle norme di tutela di tali beni indisponibili contro riforme che li danneggerebbero o addirittura li potrebbero compromettere. A questo punto la relatrice ha spiegato che più che sull’elenco dei valori costituzionali non negoziabili, peraltro agevolmente deducibile dalla Carta vigente, occorre riflettere sul loro fondamento, “sul perché della categoria” più che sul suo positivo articolarsi storico. E tale “perché” mostra un carattere strutturale: come una bilancia (secondo l’espressione del giurista Silvestri), da cui dipende ogni possibile bilanciamento, e che dunque non si può a sua volta bilanciare. Tutto fa pensare che tale elemento strutturale consista essenzialmente nella dignità della persona umana, vero fulcro dell’intero ordinamento e bene sommo assolutamente non negoziabile da parte di chicchessia. Come poi, sempre nell’ambito delle possibilità ermeneutiche offerte dalla Costituzione, vada articolato ed operativamente declinato questo bene supremo, è compito quasi più dei giuristi (sia dei pratici, protagonisti del processo, sia dei teorici) che delle istituzioni stabilirlo, affinché la inviolabilità e la non negoziabilità dei valori non si traducano in una “pietrificazione” delle formule che li riguardano, ma rispondano alla connaturale storicità della condizione umana e delle sue manifestazioni giuridiche.

Valori giuridici non negoziabili nel diritto del lavoro

Al professor Giancarlo Perone, dell’Università di Roma “Tor Vergata”, è toccato esplorare il complesso settore dei valori giuridici non negoziabili nel diritto del lavoro. Come noto, è quello giuslavoristico uno dei segmenti più travagliati dell’ordinamento giuridico, perché è uno dei più sensibili alle condizioni socio-economiche di uno Stato (ed ormai diremmo di una comunità globale) costantemente sottoposta allo stress di circostanze cangianti e problematiche. Ancor di più oggi, come ha ricordato Perone, quando il diritto del lavoro non è soltanto diritto industriale o del lavoro subordinato, ma in maniera consistente e crescente disciplina fattispecie e rapporti più ampi e complessi. D’altronde, il coinvolgimento della “persona che lavora” (questo il termine ripetutamente impiegato dal relatore per riferirsi al lavoratore, con chiara enfasi sulla dimensione personalistica del suo discorso) nel proprio lavoro è fuori discussione, così come la rilevanza esistenziale che esso assume, sia dal punto di vista economico e materiale, sia da quello psichico, ambientale e relazionale. Perciò il diritto del lavoro ospita e protegge numerosi valori giuridici non negoziabili, che sinteticamente sono stati ricollegati a tre istanze fondamentali: la libertà sostanziale degli individui, la sicurezza e la dignità personale. Si tratta peraltro di istanze saldamente radicate nel testo costituzionale e persino indispensabili nella prospettiva della realizzazione di quella giustizia sociale che, sin dall’articolo 1 della nostra Carta, è legata a doppio nodo con il lavoro. Va pertanto esclusa con energia sia la riduzione del lavoro a merce (non sono merce, cioè mero oggetto di mercato, né il lavoro né ancor meno la persona del lavoratore, è stato ribadito con forza), sia la mera negoziazione del lavoro che conseguirebbe a questa riduzione. Per queste ragioni la legislazione interna e le convenzioni internazionali lottano, con maggior o minor efficacia, per la difesa di alcuni ben concreti della persona che lavora: la centralità della retribuzione, realisticamente da premettere a qualunque rivendicazione giuslavoristica che intenda essere davvero garantista; la tutela del soggetto debole nella relazione di lavoro, per definizione squilibrata a favore del datore; il significato identitario del lavoro svolto, che coincide in ultima analisi con l’ubicazione sociale fondamentale di ognuno di noi; la possibilità e tutela del lavoro autonomo, che va protetto non solo dalla concorrenza, ma anche dai “giganti” che possono minacciarlo o soffocarlo (banche, giudici, altre istituzioni).
Claudio Sartea

I valori non negoziabili del diritto internazionale

Esistono all’interno del diritto internazionale dei principi fondamentali, che possiedano carattere di assolutezza e inderogabilità, riguardo ai quali non è ammessa discussione? Secondo il diritto internazionale, la risposta è affermativa. Lo ha evidenziato con chiarezza Monica Lugato, docente di Diritto Internazionale alla Lumsa di Roma, durante la relazione dal titolo “I valori non negoziabili del diritto internazionale”. Già a partire dalla disamina del preambolo e degli articoli iniziali della Carta delle Nazioni Unite, documento cardine del diritto internazionale, si possono individuare principi che sono stati scelti a fondamento dell’intero sistema giuridico e della sua organizzazione: la pace e la sicurezza internazionali, la soluzione pacifica delle controversie, la sovranità degli Stati, il rispetto dei diritti umani e la promozione della cooperazione internazionale. Le violazioni di tali principi, come per esempio l’uso della forza ai fini di aggressione, la tortura o il genocidio, sono intollerabili in quanto rappresentano una minaccia per la sopravvivenza degli Stati e dei popoli e per il rispetto dei diritti umani. La considerazione dell’interdipendenza di tali principi fondamentali (si pensi, a titolo di esempio, al rapporto che intercorre tra tutela dei diritti umani, sviluppo e sicurezza), nonché quella, per converso, delle minacce alla sicurezza globale (conflitti, insicurezza alimentare ed energetica, pandemie) ha portato, all’interno della comunità internazionale, all’elaborazione del concetto di human security, altro principio non negoziabile, secondo il quale la libertà di ciascun individuo dal bisogno e dalla paura è uno dei passaggi fondamentali nella costruzione e conservazione della sicurezza globale dell’umanità, realizzata attraverso una strategia integrata tra società civile e mondo istituzionale internazionale. Rientra nel concetto di human security, che comprende anche la tutela della sicurezza politica, la pace come valore non negoziabile, che il diritto internazionale protegge, in particolare proibendo l’utilizzo unilaterale della forza ai fini di aggressione (naturalmente diverso dalla legittima difesa di uno Stato davanti ad un attacco esterno). Ma c’è di più: tra i principi che possiedono il carattere di ius cogens, ovvero di diritto inderogabile, vi è la cosiddetta responsabilità di proteggere, in virtù della quale la comunità internazionale è chiamata ad intervenire, se necessario, anche attraverso l’utilizzo della forza, in presenza di violazioni che rappresentano una minaccia alla sovranità degli Stati o al rispetto dei diritti umani. Alle norme che vietano tali pratiche lesive dell’umanità in generale, oltre al carattere di inderogabilità, il diritto internazionale riconosce carattere di assolutezza affermandone l’esigibilità collettiva, ovvero la validità erga omnes. Ciò significa che è nell’interesse giuridico dell’intera comunità internazionale che vengano rispettati tali principi, che in ultima istanza sono volti a proteggere la dignità e la libertà personali dei cittadini, tanto da essere considerati spettanze dovute alla comunità internazionale nel suo insieme, davanti alla cui violazione gli Stati intervengono a ripristino della legalità.

Margherita Daverio


Valori giuridici non negoziabili del diritto penale

Le riflessioni di Ivo Caraccioli sui valori giuridici non negoziabili del diritto penale, proposte nell’ambito del 62° Convegno nazionale di studi dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, costituiscono un invito importante ed urgente a riflettere su categorie che sono ormai marginali – per non dire desuete ed obliterate – nella cultura contemporanea, secondo quel che con un realismo piuttosto cupo il relatore ha voluto premettere alla propria relazione, gettando un’ombra di sfiducia sull’attuale situazione della penalistica, non solo italiana. Termini come responsabilità personale, colpa, pena, per molti hanno perso di senso, o almeno non hanno più quel significato che tutti attribuivamo loro fino a pochi decenni fa, e su di esso eravamo ancora in grado di costruire una concezione condivisa del diritto penale, della sua funzione e dei suoi requisiti strutturali e caratterizzanti.
Probabilmente il motivo principale di questo generale disinteresse consiste nel fatto che molto spesso il diritto appare fondamentalmente come atto coercitivo del tutto estrinseco e privo di significati profondi: una legislazione esterna ed ipotetica (proprio come affermava Kant), sorretta da una sanzione altrettanto esterna (e, potremmo aggiungere anche se l’ironia suona tragica, altrettanto ipotetica). In realtà il diritto continua ad essere, come amava ripetere Sergio Cotta opportunamente evocato anche nel Convegno dell’UGCI, un valore in sé, e la parola “valore” rappresenta ciò che è degno dell’uomo e per l’uomo. Prima della norma, prima della legge, il diritto è una modalità dell’uomo nel suo essere, la cui comprensione richiede un’ermeneutica del soggetto umano in tutte le implicazioni che lo connotano.
Se rinunciamo a guardare le cose in questa prospettiva – che poi è quella che internamente sorreggeva le considerazioni proposte da Caraccioli per suffragare l’esistenza di valori giuridici non negoziabili che persistono nel diritto penale – generiamo un diritto penale che non si cura della tutela dei beni irrinunciabili per l’uomo, e che di conseguenza non adempirebbe al suo compito fondamentale che è la tutela della vita e il contemperamento e l’implementazione di altri valori quali (per riferirci a quelli enumerati ed analizzati dal relatore): dal punto di vista della vittima, la protezione della sua vita, integrità e libertà ai vari livelli noti all’ordinamento; dal punto di vista del reo, la personalità della responsabilità penale, dal punto di vista della sanzione la proporzione della pena ed il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità.
È degno di specifica attenzione che Caraccioli non abbia incluso tra i valori non negoziabili del diritto penale la finalità rieducativa della sanzione, che per quanto affermata in Costituzione, ove confusa col reinserimento sociale rischia di dar luogo ad effetti molto perversi. La parola pena, infatti, Costituzione alla mano, è soprattutto intesa nell’ottica della rieducazione del condannato; la sua funzione tipica, dunque, sarebbe strettamente pedagogica. Eppure, sottolinea opportunamente il relatore, non si può considerare che la funzione pedagogica debba necessariamente essere pensata come una funzione punitiva nel senso tradizionale del termine. Perché gli educatori debbono indossare le vesti dei punitori? Un diritto penale siffatto risulta più orientato all’ansia di reprimere i delitti piuttosto che all’espiazione della colpa e di conseguenza al recupero sociale del reo. In questa prospettiva per recuperare la propria identità, il diritto penale dovrà dunque lottare per il rispetto e il riconoscimento della dignità dell’uomo, per offrire rinnovata fiducia a chi, scontata la pena, abbia pagato il suo debito con la società o, più propriamente, abbia riguadagnato l’innocenza.

Chiara Ariano

I valori giuridici non negoziabili del diritto ecclesiastico

La relazione del Prof. Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto ha affrontato il tema dei valori giuridici non negoziabili del diritto ecclesiastico. Si tratta di un tema, come ha sottolineato Dalla Torre, che assume connotati di complessità nell’ambito di una società pluralista e frammentata dal punto di vista assiologico quale è quella contemporanea. In effetti, se in una società monista i valori religiosi costituiscono importanti fattori di unità nazionale e coesione sociale, in una società pluralista costituiscono, al contrario, fattori di divisione e conflittualità. La società pluralista e lo stato laico si fondano sul postulato dell’insussistenza di valori non negoziabili di origine religiosa, tuttavia non si può certo disconoscere - afferma Dalla Torre - come “l’ordinamento giuridico sia innervato da valori che nascono dalla religione”. Si può, infatti, affermare l’esistenza – prosegue l’ecclesiasticista – di valori giuridici irrinunciabili, enunciati dalla nostra carta costituzionale, asettici, universali, non storicamente legati ad una cultura, che per usare una nota espressione crociana “non può non dirsi cristiana”? La stessa universalità dei diritti umani, postulato indiscusso nella società occidentale, costituisce oggetto di contestazione da parte della cultura islamica, proprio in virtù della matrice giudaico-cristiana di tali diritti, “che vede l’uomo ad immagine e somiglianza di Dio e portatore di spettanze che trascendono la disponibilità del legislatore positivo”. Il problema dei valori non negoziabili, come ha più volte sottolineato il Dalla Torre, si è posto per gli ecclesiasticisti con particolare riferimento ai consistenti flussi migratori di islamici che caratterizzano il nostro Paese, ponendo l’ineludibile questione della compatibilità di usi e costumi, di carattere religioso e culturale, con i valori fondanti il nostro ordinamento giuridico. In tale situazione fattuale di conflitto, non sembra più sufficiente l’assunto di Maritain della Carta Costituzionale, intesa come credo comune o “fede democratica secolare” in cui tutti i consociati si riconoscono, quale antidoto nei confronti del pluralismo. Tuttavia, in una società pluralista in cui sembra non possibile realizzare la convergenza della diversità verso un patrimonio valoriale condiviso, è la dignità della persona umana, ossia l’essere fine in sé stesso della persona, – afferma Dalla Torre – che sul terreno religioso si sostanzia nell’incoercibilità della coscienza, a rappresentare un autentico valore giuridico non negoziabile. Alla sua  tutela è, infatti, strumentale il diritto di libertà religiosa, garantito e presidiato dall’articolo 19 della Costituzione, nonché il principio di laicità, ossia l’incompetenza dello Stato in materia religiosa e di coscienza. Lo Stato – conclude Dalla Torre -  ha il dovere di favorire le condizioni esterne affinché si possa garantire e rinnovare l’interrogazione della coscienza in cui si esprime la dignità che è propria dell’uomo.

Valeria Sala