lunedì 9 gennaio 2012

I Giuristi Cattolici e Avvenire

Segnaliamo all'attenzione di tutti due recenti editoriali del Presidente Centrale prof. Francesco D'Agostino

Valori non negoziabili e decisioni di fine vita  
L’eutanasia è solo disumana
Il richiamo ai 'valori non negoziabili', che ho fatto in un editoriale del 27 novembre, ha lasciato perplesso Emanuele Macaluso. Dalle pagine del Riformista egli mi esorta a «essere più chiaro»: «quali sono i valori non negoziabili che difendono la comune umanità»? Bisogna passare dal generico al concreto, egli insiste. Ha perfettamente ragione: passiamo al concreto e diamo alcuni esempi. A livello individuale, sono non negoziabili tutti i valori sui quali si fondano i diritti umani fondamentali, a partire dalla libertà religiosa e dalla libertà di manifestazione del pensiero. A livello sociale e geopolitico, sono non negoziabili i principi democratici, l’eguaglianza in dignità di tutti i popoli, il principio della rinuncia alla guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali. Vogliamo continuare? Non è negoziabile l’eguaglianza tra i sessi, il no alla pena di morte, la condanna di qualsivoglia mutilazione femminile, la miglior tutela possibile per i disabili, per gli anziani, per i minori, per i malati, la difesa delle lingue e della memoria storica dei popoli, la promozione della cultura e della scienza. È completo questo elenco? Naturalmente no. È immediatamente traducibile in norme di diritto positivo? Naturalmente no; è un elenco di principi, che per essere tradotto in norme richiede intelligenti mediazioni (e questo è un lavoro che spetta ai politici). Ma alcuni di questi principi già ci consentono di stabilire la loro non negoziabilità almeno 'in negativo': ad esempio, la pena di morte va assolutamente esclusa; con cosa però sostituirla 'in positivo', se con l’ergastolo o con lunghi anni di detenzione, è invece un tema aperto a ulteriori discussioni.

Macaluso sceglie, per polemizzare con i sostenitori dei principi 'non negoziabili', l’esempio del rifiuto delle cure, attestato da un testamento biologico. A suo avviso, si tratterebbe di un 'diritto civile' che i cattolici (quelli 'non adulti'!) non vorrebbero riconoscere per ragioni confessionali e il cui mancato riconoscimento essi vorrebbero imporre anche ai laici, contrabbandandolo come un principio 'non negoziabile'. Non è affatto così. Come in quasi tutte le questioni bioetiche, anche in questo caso le ragioni confessionali sono irrilevanti o sono rilevanti solo in modo marginale. Siamo tutti d’accordo (e anche questo è un principio 'non negoziabile'!) che un malato pienamente capace e pienamente informato abbia il diritto assoluto (tranne i rari casi previsti dalla legge per la tutela della salute pubblica) di sottrarsi a qualsiasi terapia anche salvavita. Il problema riguarda i malati incapaci, che abbiano lasciato indicazioni anticipate, ma generiche, potenzialmente redatte in stato di depressione o non coerenti con le possibilità di miglior trattamento assistenziale e terapeutico a loro favore.

Il disegno di legge sul fine vita (che si spera vada al più presto all’approvazione definitiva in Senato) ha fatto propria l’opinione non della Chiesa, ma della Convenzione di Oviedo, che ritiene che i medici curanti abbiano sì il dovere di prendere in considerazione i testamenti biologici, ma non il dovere inderogabile di applicarli, quando ritengano in scienza e coscienza che essi non siano più attendibili o non conformi alla situazione reale in cui versa il malato o esplicitamente eutanasici.

Arriviamo così al cuore della questione, che non è quella dei testamenti biologici, ma quella dell’eutanasia volontaria. È un diritto civile pretendere l’eutanasia? No.

Dirò di più: il rifiuto dell’eutanasia è un principio non negoziabile. Per ragioni però non confessionali, come pensa Macaluso, ma 'civili'. Legalizzare l’eutanasia non significa, come credono ingenuamente i suoi fautori, riconoscere ai malati e ai morenti un diritto civile ma, attraverso la strumentalizzazione di questo apparente 'diritto', attribuire ai medici e al sistema sanitario l’immenso potere di favorire il decesso dei cittadini più deboli, più soli o meno produttivi. Si dirà: perché preoccuparci? L’eutanasia andrebbe legalizzata solo su esplicita richiesta della persona stessa. L’esperienza ci pone di fronte però a evidenze allarmanti: quando si favorisce l’eutanasia di pazienti psichiatrici o di neonati malformati (come in Olanda), o quando si fa accedere a pratiche eutanasiche un soggetto, come Lucio Magri, colpito da depressione senile, anziché contrastare, con semplici terapie, questa patologia, è evidente che col pretesto del rispetto dei diritti 'civili' della persona si apre la porta alla logica 'incivile' dell’abbandono terapeutico. La prova di quanto sto dicendo è che il no all’eutanasia non è un’invenzione cristiana, ma appare esplicitamente già nel giuramento di Ippocrate, secoli e secoli prima di Cristo, mentre il sì all’eutanasia sta penetrando nelle coscienze solo da qualche decennio, contestualmente alla paura non confessata di molti di dover fronteggiare la morte in assoluto abbandono.
«Uccidetemi, dato che non potete starmi vicino!»: se questa è la ragione vera e profonda dell’opzione per l’eutanasia, lasciamo cadere la rivendicazione dei 'diritti civili' e passiamo tutti a impegnarci per non sottrarre definitivamente alla morte quella dignità che le appartiene. Burocratizzare i decessi, regolandoli per legge, non è indizio di laicismo, ma di disumanizzazione.

Francesco D'Agostino



L'ideologia infelice delle «etichette»  
Noi cattolici e il bene di tutti  
L’ingresso nel nuovo governo Monti di alcu­ni illustri rappresentanti del 'mondo cat­tolico' è stato oggetto non solo di commenti po­litici (tutti legittimi), ma anche di alcuni com­menti ideologici, che vanno invece rispediti ai mittenti. Spicca, tra questi, quello di Adriano Pro­speri su 'Repubblica' del 19 novembre, che invi­ta i nuovi ministri di area cattolica a dare al più presto prova di sé e a chiarire se possono o no es­sere caratterizzati come «cattolici adulti». Solo co­storo infatti potrebbero dare, come governanti, u­na testimonianza di fede «che può andare d’ac­cordo con la Costituzione». Tutti gli altri cattoli­ci, evidentemente, no. Colpisce che un’espressione, come quella di «cat­tolici adulti», nata in un contesto ben diverso da quello odierno, potesse tornare a essere utilizza­ta con tanto semplicismo. Si tratta infatti di un’e­spressione infelice. Se esistono «cattolici adulti», esistono allora, di necessità, anche «cattolici bam­bini ». Quest’ultima espressione potrebbe anche essere accettabile, ma solo in una prospettiva mi­stica, che ricordi che oggetto primario della te­nerezza di Gesù sono appunto i bambini. In una prospettiva politica, invece, l’espressione è inac­cettabile, perché da essa trasuda il disprezzo ver­so quei cattolici che ragionano (legittimamente) in modo politicamente diverso dagli autodefini­tisi «adulti», e che per ciò solo sarebbero caratte­rizzati da infantilismo psicologico, da immatu­rità politica, da indebita e cieca sottomissione al­l’autorità ecclesiastica. Se però all’espressione «cattolici adulti» proprio non si vuole rinunciare, cerchiamo almeno di de­purarla da queste valenze inaccettabili.

È 'politi­camente adulto' il cattolico: a) che si assume sem­pre le sue responsabilità, davanti a Dio e davan­ti agli uomini e si guarda bene dallo scaricarle fur­bescamente su altri, in specie sui più deboli; b) che considera la politica non come mera gestio­ne del potere, ma come un impegno per il bene comune di tutti i cittadini, credenti e non cre­denti, un impegno da portare avanti nel più com­pleto disinteresse per il tornaconto personale, un impegno così arduo, che può, in casi straordina­ri, essere addirittura una via per la santificazione; c) che rispetta fino in fondo il principio di demo­crazia e di laicità e non cede alle suggestioni del­l’autoritarismo; d) che è pronto ad ascoltare le le­gittime richieste che possono provenire dalla Chiesa e a difenderle, tranne nel caso in cui que­ste richieste (indipendentemente dalla buona fe­de di chi le possa avanzare) si configurino come rivolte ad ottenere privilegi, incompatibili con la tutela del bene comune, anzi passibili di intro­durre nella comunità civile controversie e lacera­zioni; e) che non 'sacralizza' ideologicamente la Costituzione come se fosse il vangelo di una nuo­va religione civile e l’unico contenitore possibile e immaginabile di 'valori', ma la considera lai­camente come il patto fondamentale che unisce democraticamente tutti i cittadini e che per ciò solo merita rispetto e fedeltà.

Quanto detto comporta che l’impegno per la di­fesa dei valori 'non negoziabili' non è un tratto che caratterizzerebbe esclusivamente i presunti «cattolici bambini», chiusi in un ottuso clericali­smo, e da cui i «cattolici adulti» dovrebbero tenersi ben lontani. Le questioni inerenti al pieno ri­spetto della vita umana, dall’inizio alla fine, alla difesa e valorizzazione del matrimonio e della fa­miglia, alla libertà di credere, pensare ed educa­re e, dunque, su questa base all’affermazione e al­la tutela dei diritti degli anziani, dei giovani, dei lavoratori, degli immigrati non hanno carattere confessionale. Quando il cardinal Bagnasco – a To­di e altrove – indica ai suoi ascoltatori il dovere di difendere i valori non negoziabili, altro non fa che ricordare quali sono gli impegni che tutti gli uo­mini, credenti e non credenti, devono assumer­si per difendere la nostra comune umanità. Il cri­stiano, e in particolare quello che assume incari­chi politici, non opera per il bene dei 'suoi', ma opera per il bene di 'tutti'.

Si possono, ovviamente, avere legittime diver­genze di opinione su come difendere in concre­to i «valori non negoziabili», ma non sul fatto che essi vadano difesi. Soprattutto non è accettabile che si continui a propagandare l’idea che l’im­pegno per la difesa di tali valori segni in Italia, e altrove, uno spartiacque tra cattolici e laici o, peg­gio ancora, tra «cattolici adulti» e «cattolici bam­bini ». Non ci stancheremo mai di ripeterlo, nella speranza che prima o poi queste considerazioni vengano comprese e accolte in tutta la loro im­portanza: è su di esse, non dimentichiamocelo mai, che si fonda l’unica possibilità di istituire in generale una corretta relazione tra 'cristianesi­mo' e 'politica'.

Francesco D'Agostino




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