Valori non negoziabili e decisioni di fine vita
L’eutanasia è solo disumana
Il richiamo ai 'valori non negoziabili', che ho fatto in un editoriale del 27 novembre, ha lasciato perplesso Emanuele Macaluso. Dalle pagine del Riformista egli mi esorta a «essere più chiaro»: «quali sono i valori non negoziabili che difendono la comune umanità»? Bisogna passare dal generico al concreto, egli insiste. Ha perfettamente ragione: passiamo al concreto e diamo alcuni esempi. A livello individuale, sono non negoziabili tutti i valori sui quali si fondano i diritti umani fondamentali, a partire dalla libertà religiosa e dalla libertà di manifestazione del pensiero. A livello sociale e geopolitico, sono non negoziabili i principi democratici, l’eguaglianza in dignità di tutti i popoli, il principio della rinuncia alla guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali. Vogliamo continuare? Non è negoziabile l’eguaglianza tra i sessi, il no alla pena di morte, la condanna di qualsivoglia mutilazione femminile, la miglior tutela possibile per i disabili, per gli anziani, per i minori, per i malati, la difesa delle lingue e della memoria storica dei popoli, la promozione della cultura e della scienza. È completo questo elenco? Naturalmente no. È immediatamente traducibile in norme di diritto positivo? Naturalmente no; è un elenco di principi, che per essere tradotto in norme richiede intelligenti mediazioni (e questo è un lavoro che spetta ai politici). Ma alcuni di questi principi già ci consentono di stabilire la loro non negoziabilità almeno 'in negativo': ad esempio, la pena di morte va assolutamente esclusa; con cosa però sostituirla 'in positivo', se con l’ergastolo o con lunghi anni di detenzione, è invece un tema aperto a ulteriori discussioni.Macaluso sceglie, per polemizzare con i sostenitori dei principi 'non negoziabili', l’esempio del rifiuto delle cure, attestato da un testamento biologico. A suo avviso, si tratterebbe di un 'diritto civile' che i cattolici (quelli 'non adulti'!) non vorrebbero riconoscere per ragioni confessionali e il cui mancato riconoscimento essi vorrebbero imporre anche ai laici, contrabbandandolo come un principio 'non negoziabile'. Non è affatto così. Come in quasi tutte le questioni bioetiche, anche in questo caso le ragioni confessionali sono irrilevanti o sono rilevanti solo in modo marginale. Siamo tutti d’accordo (e anche questo è un principio 'non negoziabile'!) che un malato pienamente capace e pienamente informato abbia il diritto assoluto (tranne i rari casi previsti dalla legge per la tutela della salute pubblica) di sottrarsi a qualsiasi terapia anche salvavita. Il problema riguarda i malati incapaci, che abbiano lasciato indicazioni anticipate, ma generiche, potenzialmente redatte in stato di depressione o non coerenti con le possibilità di miglior trattamento assistenziale e terapeutico a loro favore.
Il disegno di legge sul fine vita (che si spera vada al più presto all’approvazione definitiva in Senato) ha fatto propria l’opinione non della Chiesa, ma della Convenzione di Oviedo, che ritiene che i medici curanti abbiano sì il dovere di prendere in considerazione i testamenti biologici, ma non il dovere inderogabile di applicarli, quando ritengano in scienza e coscienza che essi non siano più attendibili o non conformi alla situazione reale in cui versa il malato o esplicitamente eutanasici.
Arriviamo così al cuore della questione, che non è quella dei testamenti biologici, ma quella dell’eutanasia volontaria. È un diritto civile pretendere l’eutanasia? No.
Dirò di più: il rifiuto dell’eutanasia è un principio non negoziabile. Per ragioni però non confessionali, come pensa Macaluso, ma 'civili'. Legalizzare l’eutanasia non significa, come credono ingenuamente i suoi fautori, riconoscere ai malati e ai morenti un diritto civile ma, attraverso la strumentalizzazione di questo apparente 'diritto', attribuire ai medici e al sistema sanitario l’immenso potere di favorire il decesso dei cittadini più deboli, più soli o meno produttivi. Si dirà: perché preoccuparci? L’eutanasia andrebbe legalizzata solo su esplicita richiesta della persona stessa. L’esperienza ci pone di fronte però a evidenze allarmanti: quando si favorisce l’eutanasia di pazienti psichiatrici o di neonati malformati (come in Olanda), o quando si fa accedere a pratiche eutanasiche un soggetto, come Lucio Magri, colpito da depressione senile, anziché contrastare, con semplici terapie, questa patologia, è evidente che col pretesto del rispetto dei diritti 'civili' della persona si apre la porta alla logica 'incivile' dell’abbandono terapeutico. La prova di quanto sto dicendo è che il no all’eutanasia non è un’invenzione cristiana, ma appare esplicitamente già nel giuramento di Ippocrate, secoli e secoli prima di Cristo, mentre il sì all’eutanasia sta penetrando nelle coscienze solo da qualche decennio, contestualmente alla paura non confessata di molti di dover fronteggiare la morte in assoluto abbandono.
«Uccidetemi, dato che non potete starmi vicino!»: se questa è la ragione vera e profonda dell’opzione per l’eutanasia, lasciamo cadere la rivendicazione dei 'diritti civili' e passiamo tutti a impegnarci per non sottrarre definitivamente alla morte quella dignità che le appartiene. Burocratizzare i decessi, regolandoli per legge, non è indizio di laicismo, ma di disumanizzazione.
Francesco D'Agostino
L'ideologia infelice delle «etichette»
Noi cattolici e il bene di tutti
L’ingresso nel nuovo governo Monti di alcuni illustri rappresentanti del 'mondo cattolico' è stato oggetto non solo di commenti politici (tutti legittimi), ma anche di alcuni commenti ideologici, che vanno invece rispediti ai mittenti. Spicca, tra questi, quello di Adriano Prosperi su 'Repubblica' del 19 novembre, che invita i nuovi ministri di area cattolica a dare al più presto prova di sé e a chiarire se possono o no essere caratterizzati come «cattolici adulti». Solo costoro infatti potrebbero dare, come governanti, una testimonianza di fede «che può andare d’accordo con la Costituzione». Tutti gli altri cattolici, evidentemente, no. Colpisce che un’espressione, come quella di «cattolici adulti», nata in un contesto ben diverso da quello odierno, potesse tornare a essere utilizzata con tanto semplicismo. Si tratta infatti di un’espressione infelice. Se esistono «cattolici adulti», esistono allora, di necessità, anche «cattolici bambini ». Quest’ultima espressione potrebbe anche essere accettabile, ma solo in una prospettiva mistica, che ricordi che oggetto primario della tenerezza di Gesù sono appunto i bambini. In una prospettiva politica, invece, l’espressione è inaccettabile, perché da essa trasuda il disprezzo verso quei cattolici che ragionano (legittimamente) in modo politicamente diverso dagli autodefinitisi «adulti», e che per ciò solo sarebbero caratterizzati da infantilismo psicologico, da immaturità politica, da indebita e cieca sottomissione all’autorità ecclesiastica. Se però all’espressione «cattolici adulti» proprio non si vuole rinunciare, cerchiamo almeno di depurarla da queste valenze inaccettabili. È 'politicamente adulto' il cattolico: a) che si assume sempre le sue responsabilità, davanti a Dio e davanti agli uomini e si guarda bene dallo scaricarle furbescamente su altri, in specie sui più deboli; b) che considera la politica non come mera gestione del potere, ma come un impegno per il bene comune di tutti i cittadini, credenti e non credenti, un impegno da portare avanti nel più completo disinteresse per il tornaconto personale, un impegno così arduo, che può, in casi straordinari, essere addirittura una via per la santificazione; c) che rispetta fino in fondo il principio di democrazia e di laicità e non cede alle suggestioni dell’autoritarismo; d) che è pronto ad ascoltare le legittime richieste che possono provenire dalla Chiesa e a difenderle, tranne nel caso in cui queste richieste (indipendentemente dalla buona fede di chi le possa avanzare) si configurino come rivolte ad ottenere privilegi, incompatibili con la tutela del bene comune, anzi passibili di introdurre nella comunità civile controversie e lacerazioni; e) che non 'sacralizza' ideologicamente la Costituzione come se fosse il vangelo di una nuova religione civile e l’unico contenitore possibile e immaginabile di 'valori', ma la considera laicamente come il patto fondamentale che unisce democraticamente tutti i cittadini e che per ciò solo merita rispetto e fedeltà.
Quanto detto comporta che l’impegno per la difesa dei valori 'non negoziabili' non è un tratto che caratterizzerebbe esclusivamente i presunti «cattolici bambini», chiusi in un ottuso clericalismo, e da cui i «cattolici adulti» dovrebbero tenersi ben lontani. Le questioni inerenti al pieno rispetto della vita umana, dall’inizio alla fine, alla difesa e valorizzazione del matrimonio e della famiglia, alla libertà di credere, pensare ed educare e, dunque, su questa base all’affermazione e alla tutela dei diritti degli anziani, dei giovani, dei lavoratori, degli immigrati non hanno carattere confessionale. Quando il cardinal Bagnasco – a Todi e altrove – indica ai suoi ascoltatori il dovere di difendere i valori non negoziabili, altro non fa che ricordare quali sono gli impegni che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono assumersi per difendere la nostra comune umanità. Il cristiano, e in particolare quello che assume incarichi politici, non opera per il bene dei 'suoi', ma opera per il bene di 'tutti'.
Si possono, ovviamente, avere legittime divergenze di opinione su come difendere in concreto i «valori non negoziabili», ma non sul fatto che essi vadano difesi. Soprattutto non è accettabile che si continui a propagandare l’idea che l’impegno per la difesa di tali valori segni in Italia, e altrove, uno spartiacque tra cattolici e laici o, peggio ancora, tra «cattolici adulti» e «cattolici bambini ». Non ci stancheremo mai di ripeterlo, nella speranza che prima o poi queste considerazioni vengano comprese e accolte in tutta la loro importanza: è su di esse, non dimentichiamocelo mai, che si fonda l’unica possibilità di istituire in generale una corretta relazione tra 'cristianesimo' e 'politica'.
Francesco D'Agostino
http://www.avvenire.it/